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Catene alberghiere in Italia
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2016

Tra i maggiori gruppi, i brand internazionali

Si dice che nel nostro Paese i gruppi non rappresentino più del 4%. Ma una recente ricerca rivoluziona le percentuali, raccogliendo numeri e informazioni che sfuggono ai tradizionali osservatori. Il quadro che ne emerge cambia, e non di poco, le carte in tavola
 

Le Catene Alberghiere in Italia _1 Le Catene Alberghiere in Italia _2 Le Catene Alberghiere in Italia _3

Fare i conti non è mai facile. Ed evitare i rischi di strumentalizzazione lo è ancor meno. Ma un fatto è certo: esistono numeri che sfuggono alle ricerche tradizionali, numeri che in Italia non vengono raccolti ancora in modo organico e che possono cambiare la prospettiva del mercato o almeno la sua percezione. Il nostro Paese è, infatti, noto per essere in fondo alla classifica europea in quanto a penetrazione delle catene alberghiere. Si parla di un 4,1% sul totale degli alberghi, contro il 40% del Regno Unito, il 28% della Spagna, il 23% della Francia e l’11% della Germania (fonte: Hotel Chains in Italy 2016, Horwath HTL in collaborazione con Confindustria Alberghi e RES-STR Global).

Ma queste percentuali, che comunque cambiano molto se si considera il numero di camere anziché il numero di hotel (14% in Italia secondo la stessa fonte), sono stravolte dalla più recente ricerca Italian Hotel Groups, presentata in anteprima lo scorso 30 settembre a Bergamo, all’interno di Tourism Investment, evento dedicato agli investimenti immobiliari nel turismo, e realizzata in collaborazione con PKF Hotelexperts. Ecco che dal marginale 4% si passa a oltre il 15%. E non si tratta (solo) di una diversa interpretazione dei dati. A cambiare sono proprio i numeri e le fonti dalle quali questi numeri sono stati raccolti: non solo gli alberghi di proprietà, ma anche quelli in gestione, non solo grandi gruppi, ma anche piccole catene nostrane, non solo hotel che si raccolgono sotto il cappello di un brand, ma anche alberghi che, afferenti a uno stesso operatore, mantengono una identità autonoma. Ecco che il panorama dell’hotellerie del nostro Paese si delinea come meno parcellizzato e più strutturato. L’orgoglioso rifiuto della standardizzazione, tutto italiano, si concilia così, senza contraddizione, con un’evoluzione del mercato verso criteri di gestione, comunicazione e marketing più adeguati alla globalizzazione del turismo.

I nuovi numeri

Anche in Italia tra i maggiori gruppi alberghieri svettano i grandi nomi internazionali: Best Western, AccorHotels, NH, Starwood, IHG. Ma nella Top Ten per numero di hotel e stanze compaiono anche catene tutte italiane, da Valtur a Starhotels e Blu Hotels. Ancora più spazio ottengono gli italiani quando si misura la presenza dei brand, nel qual caso compaiono Blu Serena e Aeroviaggi. Altri importanti operatori made in Italy portano il nome di UNA Hotels, Atahotels, TH Resorts, Parc Hotels, Aurum, Delphinia, Town House, ma anche quelli forse meno noti di Chincherini Holidays, VOI, Apogia, ITI, Piazza di Spagna, Alliance Alberghi, HNH, Lo.An, Sunflower. La ricerca di Tourism Investment e PKF ha rintracciato 774 hotel di gruppi italiani, con 82.500 camere e una media di 107 camere per albergo. Alcuni di questi gruppi non escono con il proprio brand, magari affiliandosi a marchi noti, ma rappresentano numeri e interessi importanti, nella maggior parte dei casi concentrati per area geografica. Gli hotel dei gruppi italiani sono per il 71% 4 stelle, 10% 5 stelle e 16% 3 stelle. In controtendenza con le difficoltà del settore turistico degli ultimi anni, la maggior parte dei gruppi alberghieri italiani ha di fatto accresciuto la propria offerta, in termini di numero di camere, tra il 2010 e il 2016.
Più in generale, il Lazio è la regione con la maggiore presenza di hotel di gruppi alberghieri, nazionali o internazionali, con 244 hotel e 32.128 camere. Seguono la Lombardia, 223 alberghi e oltre 30mila camere, il Veneto, 218 hotel e 23.878 camere.
Quanto alle tipologie di contratto, la formula del franchising è la più frequente (47% del totale), in particolare in Emilia Romagna (65%), Sicilia (57%), Lazio (56%) e Veneto (53%). Altre formule sono il lease agreement (16%), la gestione alberghiera (12%), l’affiliazione (solo l’1%), oltre agli hotel di proprietà (20%).

Parola d’ordine: aggregazione

«A Berlino [ITB ndr.] noi italiani ci sentiamo sempre un po’ tapini ma siamo noi stessi che abbiamo reso questa situazione possibile”, ha affermato con ironia Giovanna Manzi, CEO di Best Western Italia, in occasione della presentazione della ricerca, commentando il divario tra Italia e Europa in termini di penetrazione delle catene alberghiere. «Come è successo? Perché fatichiamo a dare i dati. Non tutto ciò che conta si deve contare, sono d’accordo, ma questo vale solo quando ormai hai contato tutto. Solo dopo possiamo passare all’intangibile. Così facendo, invece, non abbiamo costruito la necessaria visibilità internazionale. I dati sono importantissimi per essere considerati all’estero. Non si devono comunicare e condividere solo i numeri che conoscono tutti, ma anche i dettagli».
Proprio la ritrosia a condividere e a collaborare per timore della concorrenza è alla base di quella risorsa di dati e informazioni che, non disponibile fino ad oggi, ha contribuito con la sua assenza a limitare e condizionare la percezione dell’affidabilità internazionale del nostro mercato del turismo. E quindi, prima di arrabbiarsi per l’affermarsi sempre più deciso dell’ospitalità in sharing, vedi Air bnb, al posto di fare la lotta al proprio vicino restando immobili, la raccomandazione è sempre la stessa: collaborare, condividere e fare aggregazione. «I tempi stanno cambiando», ha affermato perentoriamente Magda Antonioli, Professore associato di Economia e Coordinatore del MET (Master in Economia del Turismo) presso l’Università Bocconi. «I fondi stranieri vorrebbero investire su realtà italiane, ma cercano fatturati e livelli di crescita, dati del personale, livelli medi di salari. Il piccolo in questo fa più difficoltà. Il management sta acquisendo sempre più importanza. Nel nostro Paese ci sono ancora possibilità fuori dai grandi gruppi. Ma si deve fare aggregazione». L’obiettivo è chiaro a Renzo Iorio, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Accor Italia: «La vera scommessa di perennità? L’utile ovviamente, però anche la capacità di stare attaccato al cliente. Credo debba essere la vera nostra ossessione. Ci si concentra su politiche di pricing, invece di concentrarsi sulle fette di mercato da conquistare veramente. Credo molto nell’importanza di focalizzarsi sul cliente e nella massimizzazione del valore».
«Lasciatemi riflettere come se fossi affetta da maculopatia, guardando solo avanti e non di lato», ha concluso con sagace ironia Magda Antonioli. «Non abbiamo un’unica ricetta ma ne abbiamo diverse. Sappiamo bene che nel nostro Paese le difficoltà sono molte. Chi è che affronta meglio il cambiamento? Chi è più furbo – certamente – chi si improvvisa – va bene – ma soprattutto chi è conscio del problema, chi ha la managerialità per affrontarlo ed è pronto a cooperare. Terreno è sempre più complicato ma sono molte le motivazioni per il cambiamento. Bisogna poter interpretare, capire cosa succede. È un momento di svolta importante per il turismo italiano. Restiamo tutti sul mercato, ma ci restiamo in modo approssimativo. Stiamo perdendo occasioni. Il brand è solo uno dei trucchi: l’importante è collaborare, fare rete. Le possibilità di interscambio ci sono, il potenziale è ancora molto importante. Il tempo è abbastanza maturo».

La parola ai gruppi italiani

AtaHotels, Fabrizio Gaggio
«Atahotels SpA appartiene a UnipolSai S.p.A. che, dopo l’acquisizione di FondiariaSai nel 2013 e la relativa annessione del portafoglio di Atahotels, ha deciso di fare un ulteriore passo avanti, impegnandosi non solo nella gestione degli asset ma anche nella gestione degli alberghi, quest’ultima sotto il marchio Atahotels. Il prossimo progetto di integrazione con Una Hotels, iniziato dal Gruppo lo scorso anno vedrà un riposizionamento del portafoglio alberghiero. Grazie ai trend di mercato positivi e alle strategie in atto, ci sono i presupposti per fare molto bene».

Starhotels, Enzo Casati
«Il gruppo presenta una situazione solida, con la proprietà degli immobili abbinata alla gestione, chiarezza strategica e visione ad almeno 5 anni. Il nostro obiettivo è quello di allineare il gruppo e il management, con profilo internazionale, per raggiungere pochi obiettivi importanti, chiari e definiti. A partire dal 1° luglio sono entrati nel gruppo cinque nuovi hotel, uno a Londra – il The Franklin, boutique hotel nel cuore di Knightsbridge disegnato da Anouska Hempel – e quattro in Italia – l’Hotel d’Inghilterra a Roma, l’Helvetia & Bristol di Firenze, il Grand Hotel Continental di Siena e l’Hotel Villa Michelangelo di Vicenza –, tutti importanti e prestigiosi, dando già ottimi risultati».

ALLEGROITALIA Hotels & Resorts, Piergiorgio Mangialardi
«La nostra è una piccola realtà alberghiera che gestisce 11 hotel in Italia. Siamo cresciuti negli ultimi 5 anni, con hotel e condohotel. La nostra sfida è stata reperire alberghi con situazione di stress e farli funzionare. Non siamo né ricchi, né famosi ma ci rimbocchiamo le maniche. Il nostro management è coinvolto come azionista nella società».

HNH, Luca Boccato
«La nostra è un’azienda familiare, nata nel 1999. Nel 2006 avevamo quattro alberghi e 200 camere; oggi siamo a 11 alberghi e 1.156 camere. Facciamo pochissima comunicazione sul marchio e non gestiamo neppure il brand, affidandoci in alcuni casi a Best Western. Dei nostri hotel, sette appartengono segmento business e quattro al segmento leisure, dal Midscale al Luxury. Contiamo su una forte centralizzazione di alcune attività. Ai direttori si chiede unicamente di prendersi cura degli ospiti».

Mira Hotels & Resorts, Daniela Righi
«Il nostro gruppo si posiziona in quella parte che normalmente non viene mappata. Nasciamo nel 2012 oggi abbiamo 3 strutture leisure, con un fatturato di 8 milioni e mezzo. Lavoriamo per centralizzare il più possibile l’organizzazione nella sede sul Lago di Garda, per tenere i numeri sotto controllo. Negli ultimi anni il CRM è stato comunicato al sistema interno. All’interno delle tre strutture abbiamo due linee di prodotto: due hotel 4 stelle e un hotel 5 stelle. Per i 4 stelle puntiamo sulle attività per cercare di offrire avventura per le famiglie. Per i 5 stelle vogliamo presentarci evitando un concetto di lusso troppo austero, cercando di fornire ospitalità a 360 gradi, puntando in particolare su un progetto di benessere olistico».

Piazza di Spagna View, Mauro Piccini
«La nostra compagnia alberghiera è nata 5 anni fa. Abbiamo 17 hotel di cui un piccolo albergo in Piazza di Spagna da cui tutto è iniziato. Ci troviamo a Roma, in Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Sardegna. Siamo un’azienda nata post crisi, quindi rispetto alle esperienze precedenti abbiamo il vantaggio di partire da zero, senza nessun contratto eccessivamente oneroso precedente e con l’opportunità di interloquire con un mercato diverso, più disposto a captare il valore. Lavoriamo su contratto d’affitto d’azienda. La nostra compagnia deve stare in piedi indipendentemente da altri settori e abbiamo i requisiti per crescere».

Planetaria Hotels, Damiano De Crescenzo
«Il nostro è un piccolo gruppo alberghiero nato a metà degli anni Novanta: nove alberghi, con circa 630 camere. Si tratta di hotel di città e borghi antichi. Siamo un gruppo giovane, con strutture tutte di proprietà: questo naturalmente ha un significato sulla gestione. Il gruppo fa capo ad una famiglia di industriali e ha avuto uno sviluppo abbastanza rapido: la metà degli hotel sono stati acquisiti, ristrutturati e aperti negli ultimi 5 anni. Non abbiamo una insegna di gruppo. Ogni albergo punta sul proprio nome-brand caratterizzandosi individualmente. Pagando anche qualche conseguenza commerciale, ma siamo abbastanza liberi. Collaboriamo con altri marchi con ragioni ben precise su queste scelte: Best Western, Relais & Chateaux, World hotels. I grandi gruppi possono essere più competitivi sui costi di organizzazione, ma l’albergo di proprietà permette di guardare al medio lungo termine in quanto a redditività».

TH Resorts, Giorgio Palmucci
«La storia del gruppo è cominciata 40 anni fa da un rifugio alpino e un gruppo di amici neo laureati. In questi 40 anni siamo diventati una società di gestione solo leisure, con prodotto destinato alle famiglie: montagna estiva-invernale (in estate gestiamo tra l’altro strutture Club Med) e mare (gestiamo anche i Villaggi Touring). Nel 2010 abbiamo creato un tour operator per TH Resorts vendendo su tutti i canali di distribuzione e puntando a una maggiore internazionalizzazione della clientela. Lavoriamo con contratti d’affitto perché difficilmente viene accettato il contratto di management, soprattutto nel mondo leisure. Oggi abbiamo un fatturato intorno ai 50 milioni, con l’obiettivo di arrivare a 80-100 milioni di euro per coprire i rischi stagionali».

Falkensteiner Hotels, Stefania Amodeo
«Il gruppo nasce 50 anni fa da una struttura familiare e oggi conta 32 hotel a 4 e 5 stelle in sei Paesi europei. In Italia, oltre alle strutture in Alto Adige abbiamo un 5 stelle a Jesolo, un 5 stelle family in Sardegna e un 4 stelle sul Lago di Garda. I segmenti sono Wellness, Familiy, City e Premium. Il gruppo si sta muovendo verso nuovi progetti in Italia e all’estero, consolidando i mercati esistenti nell’area sud orientale dell’Europa, secondo una crescita programmata».

Town House Hotels, Guido Castellini
«L’albergo Seven Stars Galleria dal 2007 a oggi è passato da boutique hotel ad una grande realtà complessa, di oltre 10.000 metri quadri nella Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, che comprende due hotel (TownHouse Galleria e TownHouse Duomo), Ottagono Lounge Area con Oyster Bar, una esclusiva pizzeria I Dodici Gatti, la Terrazza Duomo 21 ed il Ristorante Museo Pavarotti, con l’esclusiva HighLine Galleria, la passeggiata sui tetti della Galleria. Da poco anche Felix Lo Basso Restaurant e il ristorante Altezza Duomo. Il Brand TownHouse ha in gestione vari alberghi a Milano, uno a Torino e il borgo di Montegridolfo con Relais Palazzo Viviani. Stiamo approcciando il mercato dei boutique hotel: Roma, Milano, altre destinazioni sia city che Leisure, con hotel da 30 a 50-60 camere con formula b&b, con minore impatto della ristorazione».

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